"Autorità, Signore e Signori, care Colleghe e cari Colleghi,
benvenuti all’incontro di fine anno di Confindustria Reggio Emilia.
Un saluto particolare lo rivolgo ai nostri relatori:
Paolo Magri, Presidente Comitato Scientifico ISPI, e Lucio Poma, Capo economista Nomisma.
Insieme a loro saluto tutte le Associate che tra poco riceveranno un riconoscimento per la loro longevità.
Saluto, infine, Andrea Cabrini, Direttore Class-Cnbc, cui è affidata la conduzione dei lavori e a cui dobbiamo la realizzazione, in esclusiva per Confindustria Reggio Emilia, di questo interessante format.
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L’incontro di questa sera, che si intitola “2026 World Overview”, intende offrire una panoramica del mondo alla vigilia del nuovo anno.
Abbiamo scelto un titolo in lingua inglese per ricordare quanto le dinamiche internazionali siano ormai centrali nella vita delle nostre imprese e della nostra comunità.
Tra pochi minuti ci collegheremo in diretta con alcuni luoghi che concorrono a definire gli andamenti dei mercati finanziari e gli sviluppi delle tecnologie a fronte della grande transizione geopolitica in corso.
Cercheremo, in tal modo, di staccarci dalla dimensione locale per confrontarci con un mondo che cambia a grandissima velocità.
Nei venticinque anni appena trascorsi, tecnologia e globalizzazione hanno forgiato un mondo nuovo, con regole nuove e con nuovi protagonisti.
In un quadro di riferimento come questo, l’Italia si presenta appesantita dal fardello delle questioni irrisolte ereditate dal secolo scorso e dalla lenta perdita di competitività in ogni ambito, economico e sociale.
Per dare una misura di tutto ciò basta un solo indicatore, quello della produttività, che da un trentennio è la prima causa della scarsa crescita economica italiana.
Allo stesso tempo possiamo affermare, senza timore di essere smentiti, che negli ultimi quarant’anni la cultura della conservazione dell’esistente è prevalsa sulla cultura dello sviluppo e dell’innovazione.
Quest’ultima – quella in cui ci riconosciamo – è fondata sulla libertà, sul mercato, sull’impresa, sul ruolo sociale dell’imprenditore, sulla liberazione di energie sopite o mortificate, sul lavoro e sui giovani. E non sulla difesa incondizionata dell’esistente.
La cultura dello sviluppo è fondamentale per un Paese come il nostro, nel quale il Pil crescerà appena dello 0,5%, sostenuto quasi esclusivamente dal PNRR, che però è ormai giunto al termine.
L’Italia corre il rischio di abituarsi a una crescita “da zero virgola”, come se ciò fosse normale, mentre rischiamo di perdere partite cruciali come la produzione dell’acciaio di base e delle automobili. La posta in gioco dunque è altissima.
Traguardiamo un ridimensionamento del nostro sistema industriale non per mancanza di capacità o di idee, ma per l’assenza di decisioni coraggiose e di misure straordinarie, in un momento che, al contrario, richiederebbe visione e rapidità di azione.
Se da un lato abbiamo apprezzato il miglioramento del rating internazionale del nostro Paese, frutto del rigore e dell’impegno del Governo, dall’altro abbiamo rilevato la distanza tra i provvedimenti attesi dagli imprenditori e quanto contenuto nella Legge di bilancio.
Mi riferisco alla cosiddetta “Finanziaria”, che è stata via via migliorata grazie anche ai significativi interventi correttivi sollecitati da Confindustria.
In questi giorni attendiamo tutti il provvedimento promesso dal Governo per ridurre il costo dell’energia. Ne abbiamo bisogno, perché da tempo le nostre imprese pagano il 70% in più rispetto alla Spagna e il 50% in più rispetto alla Germania.
Differenze così ampie rendono le nostre produzioni meno competitive e rischiano di vanificare ogni sforzo verso un nuovo modello industriale e produttivo, capace di competere in Europa e nel mondo.
In una prospettiva come questa, gli industriali reggiani sostengono la proposta di Confindustria volta a mettere la manifattura al centro della politica economica del governo per fronteggiare le sfide del futuro.
Tra queste voglio ricordarne quattro.
La prima è costituita dal declino demografico e dalla mancanza di talenti.
Da tempo, infatti, affrontiamo la progressiva riduzione della popolazione in età lavorativa, che genera una grave carenza di competenze per le imprese.
Un deficit – conclamato in Emilia – che riguarda non solo la quantità, ma anche la qualità delle risorse umane necessarie sin da oggi e ancor più nel prossimo futuro.
Non solo non attiriamo giovani ma continuiamo a perderne migliaia che ogni anno scelgono di costruirsi un futuro al di fuori della nostra regione e del nostro Paese.
Dunque, è indispensabile sviluppare politiche di attrazione per evitare di ritrovarci “nella trappola dello sviluppo”, ovvero con un sistema produttivo bloccato a causa della scarsità di risorse umane.
La seconda criticità è data dallo stato del manifatturiero tradizionale.
Sebbene l’economia italiana mantenga un’elevata complessità manifatturiera, i suoi settori storicamente forti come la meccanica, la moda e l’alimentare sono chiamati ad affrontare trasformazioni tecnologiche e gestionali senza precedenti.
La terza è riconducibile all’incertezza creata dai fattori geopolitici e si manifesta non solo nell’export, ma anche nelle decisioni aziendali.
La quarta criticità, infine, è costituita dalle difficoltà poste dalle transizioni tecnologiche ed energetiche, nonché dagli investimenti che esse richiedono.
In tale ambito si registra una grande cautela da parte delle imprese nei confronti degli investimenti, un dato che rallenta il processo di innovazione necessario per mantenere il proprio vantaggio competitivo.
Le criticità appena richiamate interrogano ciascuno di noi sul futuro.
Reggio Emilia, pur con i suoi molti primati, è parte della realtà italiana segnata tanto dalle dinamiche internazionali, quanto dall’assenza di una forte e condivisa volontà di sviluppo.
Non intendo fare giri di parole. L’anno che si chiude sarà ricordato come quello nel quale la distanza tra il mondo dell’industria e l’Amministrazione reggiana ha toccato il suo massimo storico. Il venir meno di uno dei maggiori investimenti industriali della storia di Reggio Emilia è una sconfitta per tutti e deve interrogare tutti.
Un esercizio indispensabile in un momento nel quale l’industria locale è chiamata a fronteggiare sia le transizioni tecnologiche ed energetiche, sia il riassetto di un mercato globale segnato da tensioni commerciali internazionali, a partire dai dazi statunitensi.
Secondo le elaborazioni della Camera di Commercio dell’Emilia – sui dati dell’Osservatorio Prometeia – al prossimo 31 dicembre il Pil reggiano crescerà dello 0,5% rispetto al 2024, segnando, in tal modo, una contrazione rispetto allo 0,8% atteso.
Le previsioni per il prossimo anno riferite all’industria e all’agricoltura sono incoraggianti, così come quelle dell’export, che dovrebbe tornare a crescere.
In ogni caso, l’incertezza che da anni stiamo vivendo ci interroga severamente sul futuro.
Nel tentativo di dare risposte dobbiamo guardarci dal rischio di essere indulgenti con noi stessi, ovvero compiacendoci, ad esempio, del fatto che nonostante tutto ci confermiamo ai vertici nazionali.
Al contrario, dobbiamo essere consapevoli che negli anni a venire siamo chiamati tutti a fare meglio, a fare di più e soprattutto a farlo in maniera diversa rispetto quanto abbiamo fatto nel passato anche recente.
Per questa ragione siamo chiamati, come persone e come comunità, ad elaborare e sviluppare le nuove competenze e le nuove soluzioni indispensabili per la navigazione in un ventunesimo secolo ormai inoltrato. Il sistema economico reggiano dovrà necessariamente diventare neoindustriale, globalmente connesso e capace di affrontare le sfide legate a tecnologia, capitale umano, transizione generazionale e competitività sistemica.
Va in questa direzione l’impegno di Confindustria Reggio Emilia nei confronti del territorio, delle Amministrazioni locali e della Regione.
Mi riferisco in particolare alle iniziative che nel corso degli ultimi due anni abbiamo avviato con l’insieme dei comuni della nostra provincia.
Penso al Protocollo sottoscritto con i comuni dell’Unione Montana dell’Appennino reggiano.
Un’intesa che tra le altre cose concorrerà alla creazione di un nuovo ITS rivolto ai giovani della montagna.
Rimanendo in ambito montano, accogliamo con favore la recente presentazione del Documento di fattibilità relativo al progetto per la realizzazione della Diga di Vetto.
Disporre di abbondante acqua per usi agricoli, industriali, civili e idroelettrico è una esigenza primaria.
Confindustria Reggio Emilia auspica un dimensionamento adeguato dell’invaso al fine di soddisfare tutte le esigenze dell’areale.
Tornando al nostro impegno per il territorio, ricordo il Patto per lo sviluppo della Pianura reggiana sottoscritto con le Amministrazioni di quindici comuni.
Si tratta di una collaborazione istituzionale, avviata nel maggio scorso, finalizzata all’elaborazione dei progetti destinati a essere sostenuti dalle risorse economiche messe a disposizione dai fondi dell’Unione Europea per il settennato 2028-2034.
Con questo Patto, la Pianura reggiana ha scelto di mettere al lavoro le proprie potenzialità.
Affinché tale impegnativo processo evolutivo si possa realizzare, è indispensabile una forte focalizzazione sull’industria e sul suo ruolo economico e sociale.
La manifattura è infatti fondamentale, perché contribuisce in modo significativo all’economia, generando valore e occupazione.
Il Patto Pianura è una iniziativa di coprogettazione dal basso che non ha precedenti in Italia, in quanto introduce una nuova e più efficace governance nei processi complessi, come la pianificazione dello sviluppo locale.
Colgo l’occasione per ringraziare la Regione Emilia-Romagna – nella persona del suo vicepresidente Vincenzo Colla – per la partecipazione attiva a questo progetto.
Riferendomi ancora alla nostra Pianura, voglio ricordare l’impegno associativo a sostegno della realizzazione del Casello autostradale di Reggio Est, diventato ormai una necessità inderogabile non solo per le imprese ma anche per i cittadini.
Ricordo, infine, l’imminente avvio dell’Osservatorio sulla Società reggiana condiviso con l’insieme dei comuni della provincia appartenenti alla montagna, alla via Emilia e alla pianura.
Le iniziative che ho appena richiamato sono l’esito della rinnovata attenzione che Confindustria Reggio Emilia ha rivolto al territorio reggiano. Un impegno associativo, assunto al momento della mia elezione, che ora sta iniziando a dare i suoi frutti.
Negli ultimi tre anni abbiamo cercato la collaborazione con le istituzioni animati dal convincimento che essa sia il presupposto indispensabile all’attuazione di strategie di sviluppo integrate, volte a migliorare le condizioni sociali, economiche e ambientali di ogni specifica area.
Grazie al coinvolgimento di un centinaio di esponenti dei mondi dell’istruzione, della sanità, dell’industria, dell’agricoltura, dell’housing e delle infrastrutture, nella nostra pianura ha preso l’avvio un movimento unitario che persegue una crescita sostenibile capace di garantire opportunità eque e crescita sociale.
Ho richiamato l’impegno territoriale di Confindustria Reggio Emilia animata dal convincimento che un futuro competitivo e solidale si può costruire solo a condizione che l’intera società condivida obiettivi e si metta al lavoro per raggiungerli.
Non diversa è la nostra visione riferita al quadro nazionale.
Proprio perché siamo consapevoli della stabilità di questo governo, Confindustria deve continuare a impegnarsi per convincere l’esecutivo a concentrare i suoi sforzi su un programma a lungo termine dedicato all’industria, che preveda investimenti pluriennali e incentivi mirati.
È questa la via per garantire all’Italia una crescita sostenibile e competitiva nel contesto europeo e internazionale.
Quanto alle politiche europee, serve un radicale mutamento di impostazione perché le scelte degli ultimi anni stanno presentando un conto pesantissimo.
Hanno indebolito la nostra competitività industriale, hanno messo a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro e, di conseguenza, l’intero sistema di welfare e di coesione sociale, cuore del modello europeo dal secondo dopoguerra a oggi.
Autorità, signore e signori,
questa sera cercheremo di comprendere meglio lo scenario, le sfide e le opportunità che ci attendono nel prossimo anno.
Lo faremo per meglio proseguire il nostro cammino verso un futuro che desideriamo prospero e sostenibile.
Per dare vita a una comunità produttiva orientata al futuro servono strumenti nuovi e un patto nuovo tra tutti noi, indispensabile per crescere perseguendo il bene comune.
In un momento nel quale l’obiettivo nazionale, regionale e locale è costituito da una vera e propria “rinascita”, voglio concludere richiamando le Considerazioni Finali del Governatore della Banca di Italia Luigi Einaudi.
Era il 29 marzo 1946.
“La resurrezione non è in altri, è in noi”.
Ora come allora, il futuro dipende dall’impegno di ciascuno.
Molti cari auguri di buone feste a tutti voi.